Laddove c’è un vuoto educativo la mafia liquida si colloca. Uno scorcio pedagogico tra il pensiero di don Antonello Giannotti e Paolo Borsellino
Mafia e vuoto educativo. Ne abbiamo parlato con Dott.ssa Anna De Luca, Consulente Pedagogista nei contesti educativi di formazione permanente, specializzata in dipendenze patologiche: strategie di intervento e prevenzione, ma anche esperta in Counselor vittimologico nelle relazioni d’aiuto con le vittime di reati e violenze, competente dell’interdisciplinarità nell’analisi dei fenomeni criminali, esperta in didattica e metodologie per la difesa dei pericoli in rete.
Dottoressa cosa significa parlare oggi di Mafia?
Secondo me significa affrontare la questione dell’emancipazione di uomini e donne che guardano in faccia il loro più violento avversario: il pensiero e l’organizzazione mafiosa. Una pedagogia meridiana non può non tenere conto della complessità di tale “questione” con le sue modalità ed implicazioni, dovute in parte per insufficienza culturale e per abulia morale. Solo sporcandosi le mani, in senso figurato, da un’attenta analisi critica e riflessiva sul rapporto tra mafia e processi educativi può emergere un pensiero pedagogico coraggioso, in grado di restituire e tracciare orientamenti al mondo della formazione in opposizione al contesto della sub cultura mafiosa.
Lei prende un primo spunto da quel che ha scritto Don Antonello Giannotti nella sua Pastorale della pace per il Mezzogiorno. “Secondo il presidente della Caritas Diocesana “la criminalità va debellata fin dentro le radici sociali. La parola deve tornare ad una scuola davvero, capace di favorire un ingresso dignitoso nella società e nel mondo del lavoro”. E ancora, in altre parti del libro, Don Antonello spiega che per descrivere la profonda crisi strutturale che caratterizza la scuola nel Sud e delle sue gravi conseguenze, “bisogna considerare da una parte l’ampliarsi dell’area della povertà nel Mezzogiorno, dall’altra la sempre più grave difficoltà dei soggetti che concorrono a formare la comunità educante, condizionata dallo stato in cui versa la scuola pubblica. La dispersione scolastica, soprattutto in alcune zone del Sud, continua a essere elevatissima, il tempo pieno va riducendosi e l’insuccesso scolastico si lega al rischio di essere arruolati in circuiti di sfruttamento e di criminalità, indebolendo gli sforzi di affermare una cultura della cittadinanza e della legalità”. Dunque, l’amato parroco del Buon Pastore sottolinea come siamo giunti ad un punto di “grave emergenza” che deve essere affrontata subito e con determinazione, perché a rischio vi è il futuro di una parte importante del nostro paese
Secondo Paolo Borsellino la liberazione del territorio dalla mafia poteva avvenire solo attraverso un movimento culturale e morale che coinvolgendo tutti comprendesse stili di vita ed esempi che una concreta condotta può offrire alla quotidianità.
È vero, Borsellino indica la strada dell’educazione per permettere alle giovani generazioni di far propria l’eredità di valori e di sacrificio umano, anche di fatica, che sta alla base della crescita umana, personale e collettiva. Un’ eredità che non può essere semplicemente donata da una generazione all’altra, ma va piuttosto accolta, dall’esserci nell’esercizio quotidiano di una prassi
Che cosa si intende per prassi?
La risposta può essere data attraverso una foto scattata nel 1992 in Sicilia in una manifestazione “Comitato dei lenzuoli” di resistenza al potere mafioso. La foto ritrae una donna affacciata al balcone nell’atto di stendere il lenzuolo e, al suo fianco una bambina di pochi anni, nell’atto di imitarla mentre tenta di acconciare anche lei sulla ringhiera un fazzoletto bianco a fianco del lenzuolo esposto dalla mamma. Semplice ma di grande significato è il gesto dell’imitazione poiché è capace di restituire l’idea che l’educazione ed essenzialmente prassi e di conseguenza solo l’educazione può imprimere alla liberazione del territorio, fisico e mentale, dalla mafia.
A conclusione di questa riflessione pedagogica possiamo affermare, quindi, che sia per Don Antonello Giannotti che per Paolo Borsellino laddove c’è il vuoto educativo la mafia va a collocarsi.
Giusto, una mafia liquida. Liquida perché rende bene l’immagine di qualcosa che si insinua in modo viscoso negli spazi vuoti. Difatti la sua possibilità di condizionamento è direttamente proporzionale alla quantità di vuoto presente a livello di sapere, di diritti, di servizi, di equità, di giustizia, di istituzioni, di società civile, di consapevolezza rispetto alla realtà circostante.
In questo contesto, allora, il ruolo del pedagogista è quantomai importante
Il pedagogista assieme ad altre figure possono operare a degli interventi educativi di prevenzione e prassi, Il nostro impegno come pedagogisti, in questa terra meravigliosa, ma difficile come è il mezzogiorno è quello di mettere in piedi una pedagogia che si strutturi come forma di impegno sociale, finalizzato ad attivare risposte concrete, risposte vere che sappiano essere di contrasto alla mafia è di conseguenza una attività in grado di colmare in modo coraggioso i vuoti lasciati troppo spesso dalle istituzioni.