Educare non è opera semplice; oggi i genitori sono anche adulti che vivono in una condizione sociale difficile, con vite spesso complicate. Le persone che danno il via a una nuova vita hanno la responsabilità di esercitare al meglio il ruolo di genitori; cercando di dotarsi degli strumenti culturali e relazionali per affrontare questo compito. Purtroppo ci sono molte famiglie che hanno difficoltà a educare in quanto vivono in conclamate situazioni di disagio (malattie, dipendenze, sfavorevoli condizioni di reddito, contesti ambientali e socio – culturali particolarmente sofferenti. Questo genera quel fenomeno definito povertà educativa; nel 2014 Save the Children ha definito il fenomeno come «la privazione, per i bambini e gli adolescenti, della opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni».
Nel 2018 i dati Istat hanno rivelato che l’Italia è uno dei Paesi sviluppati in cui l’incidenza della povertà è più alta tra i minori che nel resto della popolazione. Nel 2018 sono 1.260.000 i minori che vivono in condizioni di povertà assoluta (12,6% rispetto all’8,4% degli individui a livello nazionale). L’incidenza varia da un minimo del 10,1% nel Centro fino a un massimo del 15,7% nel Mezzogiorno. Attualmente con la profonda crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia da Coronavirus questi dati sono notevolmente aumentati, specialmente nel sud Italia. Una dei tanti fattori che alimentano la povertà educativa e il luogo in cui si nasce. Il contesto conta e può cambiare la vita delle persone, da quello micro della famiglia a quello più macro del quartiere, arrivando poi alla città. Si apprende per strada, in una biblioteca di quartiere, perché vai a teatro e al cinema, perché suoni uno strumento musicale, perché frequenti un luogo di aggregazione giovanile, ecc.; quartieri infrastrutturati da occasioni di apprendimento e ben organizzati cambiano la vita quanto una Scuola buona. Città che si sviluppano in condizioni di profonde disuguaglianze, generano esclusione e marginalità e, conseguentemente, anche la fatica di trovare uno spazio mentale ed emotivo per affrontare la necessaria riflessione sull’educare. Senza adeguate possibilità di confronto e supporto, sia di tipo autonomo che garantite da servizi pubblici accessibili, molte famiglie rischiano di ripiegarsi su sé stesse, avendo solo come parametro di riferimento i discorsi e i valori veicolati dalla cultura dominante.
In base a quanto si è detto e in conclusione, il concetto di educazione è molto più ampio di quanto generalmente si è portati a pensare, proprio perché interessa tutti gli ambiti della vita della persona, che cresce all’interno di un percorso influenzato da tutti gli stimoli provenienti dagli ambienti in cui vive- la cosiddetta “comunità educante”. Educare non è compito e responsabilità esclusivamente di esperti o professionisti educare è un agire che riguarda tutti, perché tutti, talune volte consapevolmente, altre no, ci si prende cura di percorsi di accompagnamento alla crescita. Cita un antico proverbio africano “Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio” che nella nostra realtà si traduce evidentemente in politiche educative, formative, sociali che abbiano realmente a cuore la Persona e la famiglia, prima agenzia educativo – formativa. È uno scenario che richiede, ovviamente, una trasformazione di pensiero e di azione- all’intervento emergenziale, ormai consueto, va sostituito l’intervento educativo sistematico e strutturato per contrastare la povertà educativa minorile.