È molto importante che il volontariato e il terzo settore vadano considerati non solo nei momenti dell’emergenza, ma come interlocutori costanti per progettare la nuova sanità fin dalle fondamenta. Sanità che non deve essere più ospedale-centrica – e questo la pandemia ce lo ha insegnato bene – ma costruita in modo da favorire una medicina di prossimità e di comunità.
La pandemia ha tragicamente evidenziato quanto il nostro Sistema Sanitario Nazionale debba fronteggiare le sfide della salute della popolazione del III millennio, rendendo non più procrastinabile una sua riorganizzazione.
La necessità di integrare il prevalente “modello ospedale-centrico” con un sistema di servizi territoriali, rimarcata dalla pandemia, ha tuttavia perso vigore man mano che l’emergenza sanitaria è diventata quasi strutturale. La direzione verso cui riformare il SSN è un tema di enorme rilevanza, e gli sbocchi possibili sembrano essere due.
Da un lato, un profondo investimento sulla “medicina di prossimità”, con la partecipazione degli enti del Terzo settore (ETS) nel progettare ed erogare servizi per la comunità, come sperimentato in alcuni territori (esempio le micro-aree a Trieste).
Dall’altra, un’ulteriore espansione della sanità privata for profit, orientata quasi esclusivamente alla cura della malattia acuta, mediante l’utilizzo di sempre più costose tecnologie, a scapito di investimenti nella prevenzione (esempio la recente riforma sanitaria lombarda).
L’unico scenario in grado di contrastare efficacemente la vera sfida della salute di questo nostro tempo – vale a dire la qualità della vita nella dimensione della cronicità – è a mio avviso il primo.
Pertanto, oltre alla necessità di costruire un sistema di prevenzione previsto dalla Riforma Sanitaria 833/1978, vi sono numerose questioni di natura sociosanitaria, legate all’incapacità di adeguarsi alle trasformazioni demografiche e sociali, che reclamano soluzioni.
Ebbene, queste sfide potrebbero essere affrontate grazie anche a un rinnovato impegno civico, di cui gli ETS potrebbero farsi co-promotori. Se guardiamo al grado di copertura dei bisogni, è innegabile che il merito di aver colmato il vuoto lasciato da un sistema pubblico in difficoltà a dare risposta ai bisogni connessi con nuove problematiche e povertà, è del Terzo settore.
Sono infatti gli ETS ad aver avviato le prime comunità terapeutiche per tossicodipendenti, le case-famiglia per persone con problemi psichiatrici, e l’assistenza domiciliare.
A questo punto è opportuno riflettere criticamente sul ruolo che gli ETS potrebbero rivestire all’interno di un SSN rinnovato: se considerarli produttori di servizi, a basso costo e in funzione subalterna rispetto al settore pubblico, oppure valorizzarli nella co-progettazione e realizzazione di interventi sociosanitari.
Tra gli ambiti in cui gli ETS hanno svolto un ruolo pionieristico in una logica di prossimità vi è quello delle Cure Palliative.
Nate al di fuori delle istituzioni sanitarie nella seconda metà del secolo scorso, le cure palliative sono definite dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come un complesso di interventi di varia natura rivolti alla persona con malattia inguaribile a decorso progressivo, e ai suoi familiari, con l’intento di alleviarne la sofferenza fisica, psicologica, spirituale e sociale. Ancora oggi la maggior parte degli ETS che offre CP non si limita a fornire prestazioni sanitarie per conto della sanità pubblica. Grazie al coinvolgimento di professionisti altamente specializzati, professionisti volontari, volontari non specializzati, familiari e amici del paziente, e alla capacità di dialogare con una pluralità di attori, gli ETS sperimentano innovative strategie d’intervento ritagliate sui bisogni specifici della persona malata di cui ci si prende cura. Quello delle CP è un approccio che, sovvertendo il paradigma sanitario dominante centrato sulla malattia, offre importanti spunti di riflessioni su come riformare il sistema sanitario
Terzo Settore: che il volontariato diventi finalmente partner delle Istituzioni!
Il sistema sanitario nazionale dovrebbe quindi farsi carico di preparare gli associati del Terzo Settore offrendo loro corsi gratuiti che preparino i partecipanti a essere capaci di praticare interventi, anche molto semplici come un’iniezione intramuscolo, o l’inserimento di un ago in vena per potere praticare una fleboclisi, o il somministrare cure palliative.
Sarebbe necessario, poi, che i volontari siano messi nelle condizioni di eseguire quanto il medico prescrive, e inoltre di poter entrare in contatto immediato, grazie a un cellulare in dotazione, con l’ospedale di riferimento per avere consigli e diagnosi. Queste poche e piccole azioni alleggerirebbero già moltissimo il carico di lavoro degli operatori ospedalieri.
Per rendere operativa una squadra, bisognerebbe infine prevedere un rimborso spese giornaliero in modo da non gravare sui costi personali dei volontari.