Martedì 3 maggio il nostro Delegato è stato invitato dal Rotary Club Napoli, presieduto dall’Ammiraglio Raffaele Pallotta d’Acquapendente, a tenere presso l’hotel Royal Continental – unitamente alla dottoressa Paola Giusti e con il coordinamento del dottor Nicola Forte – una relazione sul tema i reali siti della Campania. Accolto dal vice presidente Professor Guido D’Angelo e dai rappresentanti del Rotary Club, dopo una breve presentazione il Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli ha intrattenuto gli ospiti sul QuiSiSana di Castellammare e sul sito di Carditello. Di seguito un estratto del suo discorso:
“Premetto che con l’espressione “Real Sito” si intende l’insieme di tutti quegli immobili acquisiti direttamente dai Sovrani della Real Casa dei Borbone Napoli; non, quindi, beni dello Stato o del Demanio.
In epoca angioina era appellato “domus de loco sano” cioè Casasana, appellativo che rimase fino al XVIII secolo.
La notorietà del sito è testimoniata sia dall’accertata presenza di Giotto sia dal Boccaccio che, protagonista Carlo I° d’Angiò, al Quisisana ambientò la novantaseiesima novella del Decamerone.
Per successione alla famiglia Farnese, antica feudataria di Castellammare, la tenuta nel 1734 passò a Carlo III di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese.
Da tale periodo, e fino al 1790, l’Archivio di Casa Reale è ricco di documentazione che testimonia i continui lavori di ampliamento e ammodernamento del palazzo fino a Ferdinando IV di Borbone.
Si racconta che la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV, amava soggiornare nel Real Sito poiché gli erano graditi “lido e fonti”, alludendo al lungomare e alle acque minerali di Castellammare. Ferdinando IV vi aveva fatto costruire nuovi stradoni per le delizie di Quisisana.
A Castellammare i Reali consumavano, al mattino enormi tazze di latte e cioccolato, con biscotti di Castellammare e taralli di Agerola, mentre a mezzogiorno pasticci vari, costolette di maiale e cinghiale, di cui era ricca la montagna circostante che conduceva al Faito. Gradivano i Reali le provole di Sorrento in grande abbondanza, unitamente ai prodotti caseari di Agerola, molto apprezzati già in quell’epoca; il tutto veniva innaffiato con vino rosso di Gragnano o vino vesuviano o di Solopaca tagliato con acqua di Castellammare. Alle cinque del pomeriggio, merenda con pasticcini e la sera, verso le nove e mezzo una cena abbondante, a base di pescato fresco proveniente dalla costiera. Trofei enormi imbandivano la tavola per stimolare i Reali appetiti: frutti di mare, polpi, scorfani, dentici, orate. Pomodori e mozzarelle ornavano la tavola reale. Nelle sere d’estate era la volta dei gelati di Sorrento e dei sorbetti al profumo di limone, consumati guardando il golfo ed il Vesuvio con alle spalle il fresco del Faito.
La ridente cittadina di Castellammare raccoglieva una ricca corte diplomatica che seguiva il Re, oltre al suo fitto stuolo di Gentiluomini di Corte, che lì si erano fatti costruire lussuose dimore: gli Acton, villa Lieven del Ministro Plenipotenziario dello Zar Nicola I° Romanov, villa Moliterno dei Principi di Tricase (Gallone) Villa Ruffo di Sant’ Antimo ecc.
Per sfatare un luogo comune va detto che, contrariamente a quanto si è scritto su alcuni personaggi di Casa Borbone, circa la ignoranza di linguaggio, questi erano al contrario colti e poliglotti. Molto religiosi, quindi conoscenza profonda del Latino, conoscevano il Francese e avendo preso mogli straniere conoscevano il Tedesco e si intendevano anche di Russo, oltre che l’Italiano naturalmente quale lingua madre.
È da notare che il Regno di Napoli è stato il primo a riconoscere, e quindi ad avere lì una sede diplomatica, gli Stati Uniti d’America.
QuiSiSana: la costruzione si sviluppa su due piani ed ha una superficie totale di 7300 mq. ha inoltre, un parco di tre ettari che si congiunge al vasto parco del Faito dove i re andavano a cacciare.
In seguito all’unificazione d’Italia la tenuta passò, tra i beni riservati della Corona, alla Casa Savoia.
Fu grazie ad un Deputato del Collegio di Castellammare, l’Onorevole Tommaso Sorrentino di Gragnano, che il Comune, previo Regio Decreto, poté acquistare la Real Casa per trecentomilalire.
Il Real Sito di Carditello e gli altri Siti Reali Borbonici nascevano in luoghi ricchi di vegetazione, pascoli naturali, selvaggina abbondante, adatti ad attività di svago quali la caccia e le passeggiate. Ma come vedremo, tali siti si prestarono a diventare anche “laboratori” dove sperimentare nuove modalità di coltivazione della terra, ottimizzazione della pastorizia e dell’allevamento, oltre che luoghi dove mettere in atto nuovi rapporti di impiego della manodopera, come a San Leucio con le seterie: e non furono attività isolate perché ve ne furono anche in Sicilia, chiamate “Fattorie Reali”.
Tra queste, il “Casino di Carditello” realizzato nei pressi del Comune di San Tammaro, a sud di Capua, fu una delle residenze preferite dal Re, tanto da essere denominata “Real Delizia”
La storia di Carditello inizia nel 1745, quando Re Carlo acquistò dal Conte di Acerra l’intera area di circa 1750 ettari, con al centro solo un deposito per il grano e attrezzi agricoli. La scelta cadde su questa tenuta sia perché adatta alla caccia grazie agli abbondanti acquitrini che costituivano l’habitat ideale per fagiani, beccacce e altri animali di palude, sia perché l’area si prestava bene all’allevamento di bufale per ottenere su scala industriale mozzarelle e prodotti caseari, che a quell’epoca rappresentavano il top dell’alimentazione per l’alto rango. Fu così deciso di mettere in atto una radicale opera di sistemazione del fondo con la costruzione di canali per prosciugare le aree destinate al pascolo e alla produzione di foraggio, e fu chiamato alla progettazione e alla realizzazione l’architetto Francesco Collecini, già impegnato nella costruzione di San Leucio.
Chiamato Carlo in Spagna per succedere al genitore morto, suo figlio Ferdinando IV portò a termine la costruzione della residenza e di tutte le pertinenze agricole e lavorazioni casearie.
Infatti, a partire dal 1784, furono chiamati ad ornare con statue ed affreschi artisti del calibro di Philip Hackert, Fedele Fischetti, Giuseppe Cammarano, il pittore siciliano di Sciacca che, insieme ad Angelini, era considerato uno dei migliori esponenti della pittura neoclassica napoletana.
Il primo piano del corpo centrale dell’elegante e sobrio edificio era destinato al Re e alla servitù, mentre ai piani terra trovarono posto le stalle, le scuderie, le abitazioni dei vaccari e le sale dove avveniva la lavorazione. Le case dei contadini e degli operai furono costruite lateralmente, ma allo stesso livello del piano reale: insomma, una moderna “comune agricola”; al centro del complesso fu realizzato un ampio spazio per le feste campestri e le corse dei cavalli.
Queste applicazioni innovative per il miglioramento dell’agricoltura e dell’allevamento furono per Carditello, per San Leucio, per Mongiana, per le isole Ponziane, per le saline pugliesi e per alcune aziende dell’agro nocerino e di Battipaglia, l’applicazione concreta di quella politica sociale che vedeva il contadino, l’allevatore ed il pastore posti a base del sistema economico impiantato sul possesso e non sulla proprietà dei beni. I conduttori gestivano tenute agricole non proprie, versando al Re la decima parte di quanto prodotto in un anno: questa “decima parte” consentiva nei fatti una sorta di autogestione dei beni, assicurando nello stesso tempo un ricavo al proprietario e una sussistenza al colono possessore che la lavorava.
Dopo l’unificazione d’Italia, i primi a cadere in disgrazia furono proprio i Siti Reali e, poi, tutto il resto del sistema demaniale fondato dai Borbone. Dopo il 1861 Carditello e gli altri Siti Reali, non essendo del Demanio ma di proprietà privata (Reale), finirono all’asta e furono maldestramente utilizzati fino alla loro totale caduta.
Per offuscare l’antico splendore furono addirittura raschiate dalle pareti le magnifiche allegorie realizzate da Hackert raffiguranti la prosperità della natura e delle arti rurali, affidate dal Re al popolo per volere di Dio.